La gente è strana.
L’affissione comparsa ieri sulla porta della (ex) cabina telefonica nel centro del paese è studiata, il foglio è assicurato sulla lunghezza dei quattro lati con più strisce di nastro adesivo, l’intenzione è quella di farlo rimanere. C’è anche un abbozzo di firma, le lettere “I” maiuscole sono pure corredate di puntino. Ortografia creativa, ormai è saltato quasi tutto.
Poteva la scrivente (si suppone sia donna) usare un foglio stampato dal pc? Probabilmente si, ma forse intendeva rendere riconoscibile la propria calligrafia a chi deve comprendere. Il tono è evidentemente quello sinistro di un avvertimento: quelle foto scattate non devono essere “usate”, verbo che può sottintendere molte cose.
Ci sono tuttavia due questioni di fondo.
La prima: se chi ha scritto il messaggio conosce nome e indirizzo del destinatario, perché l’avviso deve avere risalto pubblico? Non sarebbe stata più efficace una busta chiusa nella cassetta delle lettere? O si è voluta usare una certa delicatezza e risparmiare al fotografo imbarazzi, magari di natura familiare, nel caso il plico fosse stato aperto da altri?
La seconda: cosa c’entra il marito? Se c’è un illecito nella gestione di quel materiale fotografico che comporti un danno per il soggetto riprodotto solo quest’ultimo, che riteniamo maggiorenne e capace, può sottoscrivere una denuncia. Cioè lei.
Forse la questione che rende triste una cosa in sé ridicola è proprio questa: il segno dell’accettazione, da parte di una donna adulta del 2023, del fatto di “appartenere” ad un coniuge maschio capofamiglia e di affidarsi in toto a lui anche per la difesa di diritti invece assolutamente personali.