Plateatici, è giusto che siano ancora gratis?

I plateatici hanno dimostrato di essere graditi dalla cittadinanza, ha ricordato il sindaco, Pieranna Zottarelli in un passaggio dell’ultimo consiglio comunale, il 28 luglio scorso, sviluppando un ragionamento sui posti auto sacrificati a vantaggio dell’estensione delle aree di vendita esterne dei pubblici esercizi.

Graditi significa evidentemente frequentati. I plateatici sono spazi di socialità all’aperto inizialmente suggeriti dal Covid ma diventati nel tempo luoghi consolidati nelle abitudini di chi si muove nei centri di capoluogo e frazioni.
Non tutti, però, scelgono l’aperitivo in compagnia come modo di impiegare parte del tempo libero e qui si innesta un argomento che è ora di portare in rilievo, visto che altre città (Treviso, ad esempio) lo ha già affrontato e superato.

L’occupazione più o meno temporanea di uno spazio pubblico, recando vantaggi ad un numero limitato di soggetti imprenditoriali (nel nostro caso i baristi), da sempre è sottoposto al versamento di una certa quota perché si permette di utilizzare un bene (lo spazio) che, appartenendo a tutti, per un certo arco di tempo, viene privatizzato.
Così come chi voglia usare una palestra o una sala comunale, per una partita di calcetto o una riunione di una associazione (peraltro attività che, a differenza dei bar, non generano profitti), versa una determinata tariffa al Comune, cioè alla comunità tutta intera, trovandolo perfettamente naturale.

Il plateatico è uno strumento concesso nel 2020 in via gratuita ad una categoria di esercenti i quali, a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, avrebbero così in qualche misura compensato le cadute di fatturato. E’ stata una giusta scelta di solidarietà per un momento straordinario che è parsa da subito a tutti una buona idea.
Dopo tre anni, però, la straordinarietà non è più tale ed è simmetricamente giusto che adesso quella fascia di imprenditori rientri nell’alveo dei normali contribuenti. Magari anche considerando che uno di quei plateatici ha di fatto interrotto – dall’oggi al domani e senza la buona educazione da parte di alcuno di avvertire gli utenti – una pista ciclabile, anch’essa diventata uno strumento collettivo più importante con il Covid, visto il ricorso esponenziale alle due ruote come una delle poche forme di sport allora praticabili.
E ricordando pure come, virus o no, siano state fin qui tollerate “esuberanze” notturne di musica e cori da stadio fino a ben oltre la mezzanotte, senza troppi controlli di limiti anagrafici di assuntori di spritz e di tassi alcolemici di chi, di lì a poco, si sarebbe pure posto al volante.
Nessuno dei residenti pare abbia mai chiamato i vigili, vivi e lascia vivere, l’allegria fa bene. Questa capacità di indulgenza da parte di chi abita nelle vicinanze dei bar aperti fino a tarda ora deve essere riconosciuta.
Però il momento di tornare ad esigere un minimo di tassazione per il suolo pubblico occupato – fosse pure per il suo significato simbolico (e nobile, in un contesto di sana consapevolezza democratica) – è forse arrivato.

Dalla Treccani

plateàtico s. m. [dal lat. mediev. plateaticum, der. del lat. platea «piazza»] (pl. -ci). –
1. Antico tributo d’origine feudale, ancora in vigore nella Repubblica di Venezia nell’età moderna, che si pagava per avere il diritto di esporre merci, in genere commestibili, sul suolo pubblico o di tener banco in piazza, o anche di occupare per altri motivi il suolo pubblico.
2. Nel linguaggio urbanistico, piazzale pavimentato, generalmente provvisto delle attrezzature necessarie alla sistemazione dei banchi di un mercato.