Fare tre più tre non è la cosa più importante

Tre scuole d’infanzia, cinque plessi della primaria e due della secondaria, in totale 1.500 alunni tra Roncade e Monastier.
Sono i numeri dell’Istituto comprensivo guidato, da poco meno di un anno, da Carla Vazzola, subentrata ad Anna Maria Vecchio.
Se quest’ultima, al suo primo incarico da dirigente, ha dovuto confrontarsi con il Covid, il “battesimo del fuoco” di Vazzola è stato, a fine febbraio, il caso delle larve fotografate in un piatto di pasta alla mensa di San Cipriano.

“E’ stato un periodo – riflette la preside – molto stressante per tutti sotto il profilo psicologico, abbiamo comunque lavorato tutti in sinergia, scuola e amministrazioni comunali di Roncade e Monastier, per riuscire a dare risposte ai genitori, come l’opportunità di portare i pasti da casa. A distanza di mesi, comunque, non abbiamo ancora capito bene cosa sia accaduto, c’è un’inchiesta ancora in corso. Casi di mense con problematiche sono frequenti ma quando un incidente come questo passa sul piano mediatico la preoccupazione purtroppo è normale aumenti. In sintesi, è stato un bruttissimo episodio che non ci ha fatto dormire per molte notti”.

Adesso il caso è del tutto rientrato?
“Il numero degli utenti è tornato lo stesso di prima, ad eccezione forse di qualche unità. Il servizio dopo Pasqua è tornato alla normalità, tutto è andato decisamente meglio

Bullismo e cyberbullismo, temi di questi tempi ricorrenti tra adolescenti e giovanissimi. Che percezione ha?
“E’ senz’altro una delle emergenze, i ragazzi che in qualche modo sono coinvolti raramente ne parlano. Anche qui lo scorso anno ci sono stati vari casi, alcuni anche pesanti, via social o gruppi di whatsapp. Abbiamo visto foto poco piacevoli.
Quando ce ne accorgiamo avvertiamo i genitori, a volte è stato necessario andare oltre.
Spesso sono provocazioni, il nostro compito è tutelare chi le riceve ma anche chi agisce. Magari, con lo sguardo di un adulto, non si tratta di minacce importanti ma le parole hanno un peso, soprattutto in un’età delicata come questa. Le parole sono pietre bisogna saperle usare”.

Come si riesce a fare emergere episodi di questa natura?
“E’ fondamentale usare gentilezza, rispetto, cura. Non finirò mai di ripeterlo. La scuola non è solo un luogo in cui firmare carte, solo sviluppando un contatto i ragazzi riescono a dire ciò che non direbbero ai genitori. Lo dico spesso agli insegnanti: magari lasciate perdere qualcosa del vostro programma ma ascoltate di più”.

Quindi, rispetto all’uso degli smartphone?
“Vietati, non li voglio proprio vedere. Quest’anno la proibizione di portarli a scuola è stata inserita nel regolamento d’istituto, le famiglie sono sostanzialmente d’accordo. Lasciare i telefoni a casa è un modo di disintossicarsi”.

Altro evento di difficile gestione, oltre che estremamente doloroso, la morte di Carlo Panizzo, il bambino di sei anni annegato poche settimane fa mentre era in spiaggia
“Quando è successo l’esigenza da parte dei docenti e dei genitori è stata subito di comprendere come poterlo dire ai figli. Abbiamo avuto poi un contatto con Paola Fornasier, psicologa dell’Advar di Treviso, persona di una gentilezza e di una disponibilità senza pari. C’è stato un incontro online in cui lo ha spiegato con grande serenità ai genitori. Anche i professori vi hanno preso parte, va ringraziata tantissimo”.

E’ un episodio che può dirsi superato?
“No, bisogna monitorare sempre i bambini. Chi non parla non è detto non abbia dentro qualcosa. Occorre tenere le antenne sempre alte e intercettare le difficoltà. Forse è questa la vera essenza dell’essere insegnante, far capire l’importanza di sviluppare l’aiuto reciproco, non solo come fare tre più tre”.

Cronaca nera, guerre, violenze, fatti più o meno lontani ma sempre presenti nel nostro quotidiano, permeano oggi il recinto di una scuola?
“Il resto del mondo deve entrare, bisogna essere consapevoli anche della sofferenza degli altri, è così che si sviluppa l’empatia. La scuola non è un ambiente isolato, ci terrei tanto i ragazzi capissero che fuori c’è un mondo di gente che sta male e che si chiedessero ‘cosa posso fare io?’. Lo dico sempre ai docenti: questo rientra tra i nostri compiti, è un lavoro difficile ma bisogna farlo”.