Comunità energetiche, cosa abbiamo imparato?
Sergio Criveller, presidente della Cer (acronimo che sta per Comunità energetica rinnovabile) diocesana, nell’incontro organizzato martedì sera, 29 ottobre, dal circolo Pd di Roncade, ha messo in luce alcuni punti chiave.
Il primo è il principio di fondo.
Comunità energetica non è un gruppo di produttori, poniamo aziende, che condividono impianti fotovoltaici (potrebbero essere eolici o idroelettrici, ma è molto più raro) per autoconsumare l’energia prodotta, ma un sistema di produttori e consumatori diffusi all’interno di un territorio che fa riferimento ad una cabina elettrica primaria. Dunque la popolazione di due o tre comuni medi.
Gli incentivi statali riconosciuti sono calcolati in base all’energia scambiata istantaneamente nel perimetro della cabina primaria: più il consumo si avvicina alla produzione, maggiore saranno i contributi pubblici.
Non ci sono sistemi di accumulo, è dunque fondamentale tendere all’equilibrio, cioè che ciascun consumatore si impegni a cercare di utilizzare i carichi domestici nelle ore di sole.
Come fa, un aderente consumatore, a sapere quando è bene accendere la lavatrice oppure spegnere luci inutili? Dei dispositivi applicati ai contatori di ciascuno dialogheranno in continuazione tra loro e con quelli dei produttori e così, attraverso una app, ognuno saprà quale sia il bilancio tra produzione e consumi in quel preciso momento.
A chi vanno gli incentivi? Alla Cer che è un soggetto giuridico in forma di Fondazione.
Come saranno distribuiti? Ogni Cer è diversa. Quella diocesana, assorbiti i costi di gestione e corrisposto il dovuto ai produttori e ai consumatori, destina il 12% ad utenti con difficoltà economiche, ossia le famiglie con Isee al di sotto dei 20 mila euro.
Cambia il rapporto con il consueto fornitore di energia elettrica? No, rimane identico.
L’iscrizione è vincolante? No, si può entrare ed uscire dalla Cer quando si vuole.
C’è un costo iniziale? Una tantum 50 euro per il dispositivo da installare sul contatore di casa.
Ha senso compiere ragionamenti di tipo economico prima di aderire? No, il valore non è questo. A fine anno il “beneficio” in termini di contributi ripartiti per un normale utente domestico non è che di poche decine di euro.
E allora? Allora occorre fare un passaggio culturale in più. Appartenere ad una Cer vuol dire essere consapevoli del valore in termini ambientali che il proprio comportamento genera. Significa essere coinvolti in un “ecosistema” fatto di persone che ragionano e condividono un obiettivo comune di salvaguardia del pianeta e, nel caso della Cer diocesana, anche di solidarietà verso settori sociali più fragili.
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