“Il passaggio al listino principale, che ritengo necessario, potrà avvenire entro due anni”.
Parole di Riccardo Donadon, il 13 novembre del 2015, quando H-Farm debuttò a Piazza Affari sul mercato dell’Aim, oggi Euronext Growth.
Un mese prima, annunciando la Ipo, il presidente e fondatore spiegava di voler “far capire il reale valore dell’azienda tramite il mercato e di acquisire così una visibilità internazionale” e il presidente del Consiglio dell’epoca, Matteo Renzi, visitando l’incubatore di Ca’ Tron di Roncade (Treviso) non ancora trasformato in campus studentesco, non esitò a dire che il suo amico Donadon stava “facendo una figata”.
A otto anni e mezzo da quell’autunno H-Farm, che in borsa valeva 89 milioni, oggi la si acquista a 15, il titolo piazzato ad un euro è sceso a 12 centesimi scarsi e ad aprile sarà lanciata un’Offerta pubblica di acquisto finalizzata al delisting a 0,15 euro e che costerà, visti i quasi 99 milioni di azioni sul mercato, 14,7 milioni.
“E’ evidente – riconosce oggi Donadon – che non siamo stati capiti. Meglio, più umilmente, non siamo stati capaci di usare il linguaggio giusto”.
Ne parla al termine del Consiglio di amministrazione con cui ieri pomeriggio è stato preso atto della riuscita dell’aumento di capitale autorizzato dall’Assemblea il 18 gennaio scorso e che ha portato il patrimonio a 20 milioni dai 12,8 di prima.
“Io ed il mio socio principale, Giancarlo Broggian, abbiamo sottoscritto ciascuno la propria parte, ci siamo trovati forzatamente in una situazione in cui è scattata l’Opa obbligatoria e abbiamo deciso di mettere un premio sul prezzo tecnico”.
Sull’addio a Piazza Affari, comunque, la lettura converge su un’unica questione centrale.
“Non siamo un’azienda tradizionale che ragiona sulla logica del profit and loss, investire in aziende per farle crescere e poi rivenderle è un meccanismo molto più chiaro all’estero che qui. Prova ne sia che, quando abbiamo concluso operazioni molto importanti e con margini notevoli – ricorda Donadon – il titolo non si è mai spostato di un solo centesimo”.
Fare l’acceleratore, insomma, sarà un mestiere che H-Farm dismetterà? Tutt’altro. “Continueremo a cercare e a scommettere su cluster interessanti e non ci muoveremo da Ca’ Tron. Usciamo dalla Borsa, se l’Opa andrà a buon fine, perché tutto questo chiacchierare intorno ad una società che sui listini certo non brilla alla lunga deteriora anche la percezione dell’altro grande asset, quello della formazione”.
Già, la formazione, il Campus in cui però si annidano le cause prime delle continue e forti perdite messe in serie nei bilanci. “Facciamo due conti – prosegue il fondatore – e ricordiamoci che l’education è un’avventura che abbiamo avviato otto anni fa e sulla quale lavoriamo effettivamente da sei. Ci sono stati il Covid e i ritardi connessi alle autorizzazioni che conosciamo e purtuttavia ora nelle nostre scuole abbiamo 1.250 studenti, 800 nelle università, per il 55% stranieri, che frequentano otto corsi di laurea e altri 400 iscritti ai corsi di Big Rock, il polo dell’animazione visiva in 3D. Non siamo spaventati dalle perdite, penso che l’anno prossimo vedremo già un’inversione della curva”. E poi c’è il nuovo importante blocco della Consultancy, la consulenza evoluta, di cui il socio Broggian (che di H-Farm detiene il 22%, contro il 23% di Donadon), con la sua Cgn Futuro, è il primo vettore di contenuti e di novità.
Ciò che sicuramente non si farà è il campo da golf immaginato a ridosso del Campus. Poteva essere una linea di reddito abbastanza ghiotta, l’equivalente della retta di una quarantina di studenti, viene spiegato. Ma il Comune di Roncade ha chiesto quali fossero le buone ragioni per poter dichiarare di interesse pubblico la variazione di destinazione d’uso dell’area interessata e l’investitore ha girato i tacchi.
Altro pronostico, infine, legato ad altri due grandi segmenti non ancora svelati ma connessi alle applicazioni di Intelligenza artificiale. “Nel 2030 la popolazione che lavorerà a Ca’ Tron, tra studenti, dipendenti nostri e di altre società, toccherà le 10 mila unità”.
Da Corriere del Veneto 29 febbraio 2024 – Gianni Favero