Al via tra pochi giorni la personale di pittura di uno tra i più longevi e prolifici artisti di Roncade.
La mostra, nella Chiesa Vecchia di San Cipriano, sarà visitabile sabato 8, domenica 9, sabato 15 e domenica 16 marzo, dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 19
GIANNI MENEGHEL UN ARTISTA PER IL TERRITORIO
I sei decenni di attività artistica di Gianni Meneghel sono ora compendiati in una rassegna delle opere di pittura da lui realizzate, con le quali si illustra l’approdo al quale il pittore è giunto, con un cammino iniziato agl’inizi degli anni ’70, percorso tutto nell’ambito in cui l’autore è vissuto e ha operato.
La sua storia di artista “dilettante” – come lui stesso ama definirsi, non senza una certa civetteria – offre anche degli spunti per la ricostruzione della storia collettiva delle arti figurative in quel territorio della Bassa Trevigiana che lo ha visto crescere progressivamente, in particolar modo in quella Roncade che negli anni ’70 sapeva offrire ai giovani talenti locali degli spazi espositivi e delle occasioni di conoscenza.
Gli inizi artistici di questo e di altri artisti si rifacevano al contesto reale, all’ambiente veduto, centrato spesso sul paesaggio locale, proprio come avevano proposto tra Otto e Novecento gli Impressionisti con le loro ispirazioni en plein air. Senza nulla inventare, ché non ve n’era la necessità, i paesaggi locali, ancora molto variegati grazie alla rigogliosa vegetazione ancora salvaguardata, o il fascino delle acque risorgive dei fiumi locali offrivano e continuano a offrire a Meneghel gli spunti che l’artista ha poi saputo fissare sulla tela. L’ambiente che Gianni Meneghel ha abbondantemente tradotto in opere di disegno e di colore è spesso arricchito dalla presenza dell’opera dell’uomo, soprattutto da edifici monumentali, come le antiche chiese, i mulini storici, i casolari e le dimore più affascinanti che impreziosiscono il contesto rurale della campagna trevigiana.
Mai monotona, la tavolozza di Meneghel ripropone talvolta i medesimi elementi figurativi, reinterpretandoli in differenti colorismi, con un’abilità tecnica capace di trasmettere emozioni differenti, sperimentate in primis dall’artista, per essere subito trasmesse al fruitore dell’opera artistica, in chi cioè si pone di fronte al dipinto per trarne degli spunti di riflessione, utili alla propria crescita intellettuale.
Le variegate espressioni cromatiche, proposte da Meneghel in modo colto e sapiente, colgono i diversi momenti del crepuscolo, del tramonto e perfino quelli delle affascinanti quanto difficoltose vedute in notturna; con ciò l’autore dimostra il pieno dominio tecnico-formale, unitamente alla capacità di sapere trasferire sulla superficie pittorica una vasta gamma di sentimenti ed emozioni.
Coerente alla sua storia professionale di docente in un Istituto per grafici, l’artista affronta vari soggetti, non solo i paesaggi, ma anche i ritratti, la figura femminile, le nature morte o i sempre affascinanti temi floreali, ponendo delle sfide – come cerca di fare ogni artista – alle sue capacità tecniche, risolvendole positivamente.
Anche attraverso le opere di Meneghel, che meritano di essere maggiormente conosciute, rimane ai posteri un notevole patrimonio iconografico del territorio Roncadese e dei suoi dintorni attraverso un’originale reinterpretazione pittorica, che si aggiunge a quanto hanno prodotto nel corso dell’età moderna e contemporanea tanti altri artisti, locali e no: dai nomi altisonanti di Watteau, dei due Selvatico, di Da Re/Reda, di Rincicotti, Zanon, Paolo Bernardi/Paber, dei due Brugnerotto, fino a quelli a noi più vicini di Romeo Gabrielli o di Laura (Lalla) Menon, solo per citarne alcuni.
Ivano Sartor

AUTOBIOGRAFIA DI GIANNI MENEGHEL
La mia storia di pittore (dilettante), incomincia attorno al 1964, all’età di 18 anni, terminato un lungo periodo scolastico nell’Istituto Salesiano Centro Arti e Mestieri nell’isola di San Giorgio Maggiore di Venezia.
Da tempo ebbi il modo di conoscere e amare il movimento pittorico degli “Impressionisti” e soprattutto fui conquistato dalle opere postimpressioniste di Modigliani, unico nella sua personalità artistica.
A Roncade sotto i portici, c’era un negozietto dove si potevano trovare tele, colori a olio, pennelli ecc. Là, incontrai Paolo Bernardi; anche lui dipingeva, anche lui come me alla ricerca di una personalità pittorica e di una tecnica innovativa a supporto.
Avevamo interessi comuni, ci sentimmo subito amici, passò qualche settimana e in quell’accogliente negozietto ci incontrammo con Orlando Callegari e da quell’occasione nacque un trio indimenticabile.
L’entusiasmo era tanto, molto meno erano i nostri risparmi, ma in questo Adriana Vettorello, la proprietaria del negozio, aveva un cuore grande come una casa e spesso ci veniva incontro con sconti alla portata delle nostre tasche.
Grande nostalgia per i nostri raduni serali in casa di Rosetta, la mamma di Paolo, persona raffinata e incline alle arti; ricordo grandi discussioni, il caffè che borbottava sulla stufa, il fumo delle sigarette e le fusa degli immancabili gatti sulle ginocchia.
Se non erro, era il 1971, a settembre nel periodo della sagra paesana, il prof. Barbieri organizzò una prima collettiva di pittura, molto importante per la qualità delle opere esposte, presso l’allora Scuola Professionale (oggi al suo posto c’è la casa di riposo per anziani). Ricordo una sala dedicata al grande Lino Selvatico, un’altra sala dedicata al pittore Da Re, altre sale ad Ambrogio, Del Giudice, Bettis… e poi in una sala c’eravamo anche noi tre. In quell’occasione, accompagnato da alcune persone, visitò la mostra Franco Batacchi, importante pittore ed esperto d’arte… ricordo come fosse oggi quando entrò nella nostra sala, si girò intorno spaziando velocemente sui nostri lavori e uscì dalla sala con altrettanta rapidità, sibilando: “naif!”.

Ovviamente non potevamo pretendere altro, ma per noi fu un momento destabilizzante che scombussolò i nostri sogni di presunti artisti.
Gli anni passarono veloci, Paolo trovò una lusinghiera e importante strada pittorica rivolta alla pittura informale, gli riusciva bene perché aveva un dono naturale nell’accostare le masse dei colori, affinava e sfruttava questa sua caratteristica su tele anche di grande formato, conquistando il favore della critica in varie e molteplici esposizioni. Orlando, irruente nella sua arte pittorica, passava da momenti di coinvolgente entusiasmo a momenti di stanchezza e a poco a poco, con nostro disappunto, smise con la pittura. Io mantenni la stessa linea pittorica aggiungendo esperienza ad esperienza, incontrai altri amici pittori, ricordo con affetto e riconoscenza i consigli di Giacomo Visentin da Losson di Piave, vero pittore “en plein air”, amava farsi chiamare il pittore maledetto, la sua passione era inimitabile.
Nel realizzare i nostri primi lavori, si iniziava con lo stendere sulla tela uno strato nero di “catramina”; ricordo che il fondo nero era caratteristica inusuale per il tempo del Caravaggio, la catramina ti lasciava dipingere sopra ma essiccava molto dopo del colore a olio generando un’infinità di microscopiche crepe, che davano al dipinto un aspetto antichizzante. Io tra l’altro per la mia attività lavorativa e conseguente esperienza, usavo dipingere anche con i colori tipografici.
Inizialmente avevo grossi problemi nel gestire la viscosità di quei colori, simili nelle proprietà al colore ad olio ma molto compatti e poco fluidi; si usava il termine “a fibra corta”. Una volta sperimentai con l’aggiunta della “vasellina”, ma purtroppo dopo un anno i colori erano ancora freschi e non intendevano essiccare. Finii per usare l’olio cotto, con molta parsimonia, altrimenti il colore perdeva improvvisamente viscosità e colava in rivoli sulla tela. Inoltre mi resi conto che con il tempo il colore non resisteva alla luce solare, un mio lavoro appeso nella cappella di via San Pio X a san Cipriano che raffigura un papa Giovanni XXIII benedicente, posizionato di fronte alla luce di una finestra, perse completamente la gamma del rosso, trasfigurando la figura, il volto e le mani del Papa in un aura di luce incerta, paradisiaca.
Negli anni partecipai due sole volte alla manifestazione natalizia “Un portico agli artisti” e più tardi, nel 2002 grazie alla grande sensibilità dell’allora assessore alla cultura Giacomo Buldo, ebbi l’occasione di esporre i miei lavori nella Sala Consigliare per una personale.
Per lo più miei lavori oggi sono visibili nelle case di amici e parenti, non mi aspetto di più, non sono conosciuto, non sono quotato ma quando con il pennello stempero il colore e lo porto sulla tela mi diverto, questo sì e mi basta.