Bruno Vianello, il cavaliere elettrico

Cavaliere del lavoro a 62 anni, riconoscimento giunto ieri e ben lungi dall’essere, come a volte succede, un premio di fine carriera. Che è anzi nel bel mezzo di una seconda vita, che lo vede impegnato in pieno a cavalcare la svolta epocale dell’auto elettrica.
Bruno Vianello, fondatore, presidente e amministratore delegato di Texa, l’azienda della diagnostica per auto di Monastier (Treviso) con 747 dipendenti in Italia e 199 nelle filiali estere, che potrebbero salire di almeno altri cento, non appena sarà autorizzato un nuovo ampliamento, sostiene di essere «estremamente onorato» per il titolo di cui può fregiarsi.

«Riconoscimento che non ho mai chiesto direttamente o indirettamente – dice – e mi fa piacere pensare come un premio alla mia determinazione nell’aver sempre voluto mantenere produzione, posti di lavoro e know-how in patria, evitando ogni forma di delocalizzazione».

Presidente, un titolo di questo genere non è affatto semplice da ottenere e tra i 25 conferimenti di oggi il suo è l’unico nome veneto. Dove pensa si trovino le persone che l’hanno suggerita al Quirinale e sostenuta?
«Immagino negli ambienti di Confindustria: cercherò di capire, quantomeno per ringraziare. Magari ora, da cavaliere, riuscirò ad avere più velocemente dal Comune ciò che chiedo da tempo e per cui ottengo risposte sempre lentissime».

Cioè?
«Il via libera al progetto per un nuovo capannone su altri 30 mila metri quadrati. Dobbiamo assolutamente potenziare le attività legate alla diagnosi dei motori, i prodotti che da sempre hanno sostenuto la crescita di Texa e che ora devono esser convertiti il più rapidamente possibile ai propulsori elettrici. Purtroppo tra burocrazia, opere perequative e mille altre complicazioni andare piano sembra sia la regola. Un tempo, se volevi mettere su una fabbrica e assumere lavoratori, ti trovavano la terra da comprare e ti regalavano pure la cabina dell’Enel …».

Veniamo all’esistente. Lo scorso anno a quest’ora si parlava di un progetto riservato alla trazione elettrica di due importanti marchi automobilistici italiani.
«Fatto. Abbiamo uno stabile accanto alla sede principale diviso esattamente in due parti, separate a compartimenti stagni, con personale che non può in alcun modo passare dall’una all’altra. I nomi dei committenti ancora non li faccio, perché non posso; ma aprendo il cofano di alcuni modelli recenti di auto elettriche con quel marchio si individuano già componenti marchiati Texa. Parliamo di inverter, centraline e altro di fascia molto alta, non certo come quelli montati oggi sulla maggioranza delle automobili elettriche. Presidiamo un’area, per capirci, in cui fino ad alcuni anni fa la leadership era di Magneti Marelli, nome ora un po’ in affanno».

Qui s’innestano considerazioni sul tavolo ormai da alcuni anni, che preoccupano la manifattura europea, ossia la dipendenza dall’Asia per la componentistica elettronica. Siamo sempre in sofferenza?
«Le cose rispetto allo scorso anno sono un po’ migliorate, ma l’insediamento di grandi operatori il più vicino possibile ai player del Vecchio Continente è straordinariamente importante e urgente. Così potranno sorgere centri d’alta ingegneria e le intelligenze formate nelle università di casa nostra non voleranno ai margini del mondo in cerca di legittime soddisfazioni professionali».

E sugli accumulatori? «Anche peggio. Le fabbriche cinesi di batterie lavorano con un know how in buona parte intercettato in Occidente e sono andate a comprare le miniere di litio in Africa mentre noi siamo rimasti a guardare. Una mancanza di lungimiranza che adesso inevitabilmente paghiamo».

I conti di Texa, infine?
«Ricavi 2022 a 167 milioni, contro i 151 dell’anno prima, per il 75% generati all’estero. E senza dubbio quest’anno sfonderemo quota 200 ».

Gianni Favero

da Corriere del Veneto del 2 giugno 2023