L’aereo non vola. Inventerò l’automobile

Racconto di Luigi Menon, figlio di Carlo Menon, industriale di Roncade delle biciclette e altro, ritenuto il primo costruttore di un’automobile in Italia. Da una pubblicazione del 1985 curata da Gian Antonio Grosso.

Anno 1894

“ (…) Mio padre non si fermò e con l’accanimento del pioniere accettò di collaborare con un ingegnere di Milano che gli proponeva di costruire un aereo a pedali.
Questi era il sig. Cervasoni che, calcoli alla mano, dimostrava che, con la forza umana, si poteva volare.
Mio padre, già pratico nella costruzione di biciclette, accettò con entusiasmo la proposta dividendo la spesa e gli eventuali utili. Dopo qualche anno l’apparecchio era realizzato. Si trattava di un triciclo con gomme pneumatiche; i pedali, anziché agire sulle ruote, facevano girare un’elica a quattro pale che avrebbe dovuto far alzare l’aereo.
Si trattava di un piccolo biplano con apertura d’ali di circa 10 metri; l’ossatura era iun canne d’India con puntelli in tubo d’acciaio per le congiunzioni e la tela, costituente le ali, era in seta leggerissima.

Alle prove la delusione fu notevole ma i due artefici non mollarono. Chiamarono i più bravi corridori di bicicletta che riuscirono a far correre a terra l’apparecchio con qualche saltino appena percettibile sulle ruote.

Pensarono di provare con un cavallo veloce e fecero le prove sulla strada principale del paese.
Ebbero la soddisfazione di vedere l’aereo alzarsi da terra per la lunghezza di qualche metro.
Da questi esperimenti scaturì la necessità di disporre di più potenza. Dove trovare un motore capace di produrla? All’estero si realizzavano i motori a scoppio. Però in quel tempo un motore di pochi cavalli pesava molto e dove reperirne uno leggero?
Dopo lunghe ricerche si trovò in Francia un motorino che pesava una cinquantina di chilogrammi e che dava circa 2,5 HP. Fu subito acquistato e passò ancora qualche mese.
Intanto la società, gravata di tutte le spese sostenute per il motore, la dogana e altre uscite, si sciolse. L’ing. Cervasoni tornò a casa deluso, lasciando a mio padre, compresi i debiti, il motore e i rottami. Il motore era un De Dion – Bouton, uno dei migliori del tempo. Fortunatamente la costruzione delle biciclette era sempre fiorente e rimise in piedi le finanze dell’officina abbastanza provata da questo esperimento”.

Il motore l’anno seguente, per non essere sprecato, fu sfruttato per realizzare la famosa “Vetturetta” a quattro ruote che funzionò perfettamente.