Nel video qui sopra, del 2009, Bianca risponde ad un invito di partecipare ad un incontro pubblico con l’allora procuratore della Repubblica Antonio Fojadelli
Bianca Casagrande, di Quarto d’Altino (Venezia) compie 100 anni e da 33 aspetta che la magistratura le dica qualcosa su come e perché sia morta la sorella, Sandra, uccisa con 22 pugnalate nel suo negozio di pasticceria di Roncade (Treviso) il 29 gennaio del 1991 quando aveva 44 anni.
Non ha mai smesso di chiederlo.
Non sa perché chi sia entrato quella sera nel locale con la scusa di chiederle un vassoio di paste, quando ormai era chiuso ma con il consenso di Sandra, la aggredì pugnalandola dapprima con una forbice, che si spezzò, e poi con un coltello da cucina trovato nel laboratorio.
A Bianca non è stata spiegata la ragione per cui, dopo il delitto, un gruppo di almeno tre o quattro persone, certamente, organizzò rapidamente il sistema di coprire l’omicida e disseminare false piste e testimonianze fuorvianti.
Non le è stato mai chiarito per quale ragione l’uomo che scoprì il corpo senza vita di Sandra, benché avesse il telefono della pasticceria a disposizione, attese all’incirca mezz’ora prima di recarsi a citofonare alla caserma dei carabinieri sentendosi rispondere che a quell’ora bisognava chiamare piuttosto il 112.
Bianca non sa come mai un 17enne che indicò chiaramente al pm un uomo zoppo uscire dalla pasticceria fu, nei giorni successivi, minacciato dallo stesso in casa propria, fino ad indurlo a ritrattare.
A cent’anni compiuti, non riesce ancora a trovare un motivo sostenibile per il comportamento dell’allora comandante della stazione carabinieri di Roncade, cercato quella sera dai suoi colleghi del reparto operativo scesi da Treviso ma fattosi negare. Disse poi che era a cena a Padova, salvo rettificare, nel 2010. Spiegò in una trasmissione televisiva che a quell’ora il suo turno di lavoro era finito e non c’era alcun obbligo da parte sua di occuparsi del crimine.
E quella automobile bianca targata Venezia, vista da un dirimpettaio di Sandra, appartenente ad un conoscente che compie gli anni giusto il 29 gennaio ma che spergiurò di non essere mai entrato in pasticceria per comperare una torta con cui festeggiare con i familiari?
E quelle banconote macchiate di sangue lasciate in un distributore di benzina self-service con l’evidente intento di spostare l’attenzione degli investigatori su una falsa pista?
E quel maglione intriso di sangue di lei distrutto poche settimane dopo perché, nell’archivio dei carabinieri, “mandava cattivo odore”?
E il marito di lei, morto suicida 11 anni prima, in gioventù campione italiano di nuoto ma che, pur avendo una pistola in casa, per togliersi la vita, scelse di buttarsi nel Sile?
E tutte quelle persone di Treviso che erano solite partecipare alle serate della giovane vedova nella sua villetta di Selvana, alle porte della città?
Se, anziché essere archiviato dopo sei mesi, il caso avesse dato luogo ad un processo, cosa sarebbe saltato fuori dal dibattimento?
Tutto ciò, e molto altro, chiede Bianca Casagrande, soffiando sulle sue 100 candeline, finché avrà fiato.