Allevamenti di suini, cosa sta succedendo a Roncade? Dopo un progetto di ampliamento di un’azienda a Bagaggiolo, la Suinal, che chiede di portare la capacità produttiva da 11 mila a 36 mila animali, ecco una nuova iniziativa in via Casaria, all’estremità opposta del territorio comunale, avanzata da Azienda agricola Elisa. Il taglio è più contenuto, duemila suini su una superficie di 11 mila metri quadrati, ma la struttura proposta anche in questo caso si pone come il meglio che la tecnologia possa offrire in termini di abbattimento degli odori, con tanto di arricchimento dell’impianto con un sistema ad olii essenziali “per la profumazione dell’ambiente circostante”.
In entrambi i casi i progetti sviluppano nei dettagli tutte le altre caratteristiche volte al benessere animale e di quanto possa portare di positivo la produzione alimentare in territorio locale.
Come andranno a concludersi i piani dei proponenti è un tema di competenza di una lunga serie di enti ed istituti, non si può che restare a vedere.
La domanda che ci si può intanto porre è la seguente: se la popolazione italiana non aumenta e se il consumo di carne a scopi alimentari, per quanto molto lentamente, diminuisce, da dove sorge questo impulso al potenziamento della produzione?
La spiegazione più plausibile è che il fabbisogno di carne al quale si cerca di dar risposta fino ad oggi è coperto in larga parte da importazioni, dalla vicina Europa e da altre regioni italiane.
Ma negli ultimi tempi si è intanto intensificata, in questo ed in altri settori, la formula magica della “filiera corta”, espressione un po’ più raffinata di quella ormai inflazionata (e quindi impoverita del già equivoco significato iniziale) di “chilometro zero”.
Con la pandemia e le complicazioni nel trasporto delle materie prime, siano esse industriali o alimentari, è emersa di prepotenza l’importanza per ogni sistema economico di accorciare la catena delle forniture. Più vicino è chi produce beni e materiali destinati al cliente più si è sicuri dei tempi di recapito e dei costi di trasporto (variabili impazzite negli anni del Covid, se ben ricordiamo). Per i beni alimentari come la carne una maggiore distanza tra allevatore e il resto della filiera implica tempi di consegna più lunghi, più costi di trasporto e di energia per la conservazione (frigoriferi, confezionamento ed altro).
Il Pnrr, che della pandemia è per molti versi il figlio, non a caso destina quote importanti di finanziamenti, anche a fondo perduto, per progetti di accorciamento della “supply chain”, come si è soliti dire, che sono poi operazioni strettamente legate a piani di transizione digitale e ambientale cioè, in una parola (un’altra di cui si fa un uso smodato e confuso), nella direzione della sostenibilità.
E’ in uno scenario così sommariamente tratteggiato che perciò rientrano anche le proposte dell’ultimo progetto roncadese dell’azienda agricola Elisa, le quali non a caso parlano di pannelli fotovoltaici, energia pulita, agricoltura 4.0, di tutela del paesaggio e di tanti altri aspetti armonizzati con questa impostazione.